Dalle semifinali femminili di Wimbledon:
1. Otto ace a zero e cinque palle break cancellate. Il servizio è stato una chiave per Ashleigh Barty, la numero uno al mondo alla sua prima finale londinese: sfidava la sola ex campionessa rimasta in corsa, la tedesca Angelique Kerber nel trentennale del successo di Michael Stich in finale con Becker. La Germania ci sperava, invece è l’Australia che torna all’epilogo di Wimbledon 41 anni dopo Evonne Goolagong. Karolina Plišková invece ha battuto la Sabalenka e sarà la sua seconda finale Slam dopo lo US Open 2016.
? @KaPliskova and @SabalenkaA served 32 aces in one match!
The most in a ladies' match at The Championships since records began…#Wimbledon | @IBMUKI pic.twitter.com/iNjWygIZ0N
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2. Ritiratasi dal Roland Garros per problemi extra-sportivi, Naomi Osaka ha firmato un intervento per “Time”, che le ha dedicato la prestigiosa copertina: La vita è un viaggio. Nelle ultime settimane, il mio viaggio ha preso una strada inaspettata, ma mi ha insegnato tanto e mi ha aiutato a crescere. Ho imparato un paio di lezioni chiave. Lezione numero uno: non puoi mai accontentare tutti. Il mondo è diviso. Questioni che sono ovvie per me, come indossare una mascherina in pandemia o inginocchiarsi per mostrare sostegno all’antirazzismo, sono ferocemente contestate. Quando ho detto che volevo saltare le conferenze stampa agli Open di Francia per prendermi cura di me stessa mentalmente, avrei allora dovuto essere preparata a quello che è successo. La seconda lezione mi ha insegnato di più. Mi ha mostrato che tutti soffrono di problemi legati alla salute mentale o conoscono qualcuno che ne ha. Il numero di messaggi che ho ricevuto da uno spaccato così vasto di persone lo conferma. Penso che possiamo essere quasi universalmente d’accordo sul fatto che ciascuno di noi è un essere umano soggetto a sentimenti ed emozioni.
A Games like no other: TIME's preview of the Summer Olympics in Tokyo https://t.co/iFeDWV9G6I pic.twitter.com/2Zl1AoezM2
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Mi sentivo sotto pressione, ho dovuto rivelare i miei sintomi perché la stampa e il torneo non mi credevano. Non lo auguro a nessuno e spero che si possano varare misure a tutela degli atleti, soprattutto i più fragili. Non voglio dover mai più dare spiegazioni accurate della mia storia medica. Chiedo alla stampa privacy ed empatia la prossima volta che ci incontriamo. Ci possono essere momenti per ognuno di noi in cui abbiamo a che fare con problemi dietro le quinte. Il mio suggerimento è concedere un piccolo numero di “giorni di malattia” all’anno in cui sei esonerato dai tuoi impegni con la stampa senza dover rivelare le ragioni. Credo che porterebbe lo sport in linea con il resto della società.
Sono naturalmente introversa e non corteggio i riflettori. Cerco di sforzarmi di parlare ma spesso ciò comporta una grande ansia. Mi sento a disagio ad essere portavoce o il volto della salute mentale degli atleti perché è una cosa nuova per me e non ho tutte le risposte. Spero che le persone possano relazionarsi e capire che è OK non essere OK, ed è OK parlarne. Ci sono persone che possono aiutare e di solito c’è luce alla fine di ogni tunnel. Michael Phelps mi ha detto che parlando ad alta voce avrei potuto salvare una vita. Se è vero, ne è valsa la pena.
8/ “I do hope that people can relate and understand it’s O.K. to not be O.K., and it’s O.K. to talk about it.”
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3. A Novak Djokovic mancano 9 partite per fare il Grande Slam. A questo punto, a meno nove, non arrivava nessuno dai tempi di Bjorn Borg: 1980. Ancora due vittorie e Djokovic avrà raggiunto Federer e Nadal a 20-20-20 Slam. Se alla Coppa di Wimbledon saprà aggiungere a settembre il titolo di New York, non solo si spingerà a 21-20-20 ma completerà il rosario dei quattro Slam che dal Laver 1969 non riesce a nessuno in campo maschile.
Mats Wilander nel 1988 era arrivato ai quarti di Wimbledon dopo aver vinto Melbourne e Parigi come Djokovic quest’anno. Nessuno ha vinto i primi tre Slam dell’anno dal famoso 1969. Borg ci è andato vicino quando a Melbourne si giocava a fine anno. Per tre volte di fila è partito con l’accoppiata Parigi-Wimbledon, e in due di queste tre occasioni ha raggiunto la finale agli US Open. Cosa sarebbe successo, se ce l’avesse fatta a New York, a un giocatore che aveva messo piede agli Australian Open solo una volta in carriera, sei anni prima? Risponde Mats Wilander e dice che «Borg non sarebbe andato lo stesso a giocare in Australia perché i migliori all’epoca non ci andavano. Hanno iniziato nel 1983»… E tutto sommato, di questo Grande Slam, forse allora non fregava niente a nessuno.
If at first you don't succeed, try, try, try and try again… pic.twitter.com/BcIi8rX7nI
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