Un 6-1, due 6-0 e un terzo che stava arrivando. Bisogna avere stamattina la possibilità di dire che il lunedì qualunque del teennis italiano è stato una delusione, un intero più uno spicchio, senza che paia una condanna per nessuno. La delusione intera è quella di Jannik Sinner, andato a servire per il primo set contro Nadal e lì collassato, nemmeno un quindici preso, tre game arraffati in tutto da quel momento in poi.
Lo spicchio è di Lorenzo Musetti, ma solo per la bocca buona fatta nei primi due set della partita contro Djokovic, vinti al tie-break dopo essere stato sotto 1-3 nel primo e avanti 7-6 3-1 nel secondo. Più che per i passanti di rovescio giocati un metro fuori dal campo, più che per una veronica e un colpo rocambolesco a due mani, stupiva per la capacità assoluta di restare con i pensieri dentro al campo. Senza pugnetti né isteria. Come fosse del tutto ordinario guidare a quel modo la partita contro il numero 1 al mondo, un giocatore che non perdeva due set contro un Under 21 dall’agosto del 2018, in Canada, e quel NextGen era Stefanos Tsitsipas, il migliore al mondo di questo 2021.
Musetti giocava con un braccio e uno stile che stava a metà strada fra quelli di Kuerten e Leconte. “Sembrava come se fosse stato lì da una vita intera” scrive Tumaini Carayol sul Guardian, “e dopo gli scambi più estenuanti e lunghi, era Djokovic ad aver bisogno di più tempo per riprendersi. Eppure non è stato abbastanza. Djokovic confidava sul fatto che Musetti avrebbe ceduto”.
Ha vinto un solo game dal terzo set in poi perché il tennis va pure così ma tra le esibizioni dei due teenager italiani c’è un abisso, e non sarebbe giusto accomunarle. Lo spicchio di delusione sul conto di Musetti lo riassume così Marco Imarisio sul Corriere della Sera: “Sarebbe stato meglio finire il proprio calvario, ma anche questo fa parte delle cose che si imparano”.
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La sintesi brutale e fedele della giornata è nel titolo de l’Équipe di stamattina: “Mostri 2 – Italia 0”. Il giornale francese scrive che “non sapremo mai bene il perché, ma Novak Djokovic ha ammesso di aver affrontato il match contro Lorenzo Musetti in modo nervoso. Si vedeva, era in ritardo sui suoi tiri, a volte sbilanciato, aveva perso tutta la concentrazione nel tie-break del secondo set al punto da non giocare nemmeno una palla e preferendo guardare i segni sulla terra. Ma il numero 1 del mondo ha detto di essersi «divertito a perdere i primi due set», non si è mai fatto prendere dal panico e ha sfruttato appieno l’effetto della pausa-bagno”.
«Durante la pausa – ha spiegato Djokovic – ho cambiato la biancheria intima. Se volete saperlo, non ho usato il bagno. Mi sono cambiato la maglietta e mi sono sentito diverso». Eh certo che le cose nel tennis vanno anche così. “Approfitti di un momento per resettarti mentalmente, per cambiare il tuo ambiente” scrive l’Équipe, che definisce il quarto set spettrale, con cinque punti in tutto per Musetti.
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Jannik Sinner giocava invece contro un signore che dal 2005 a Parigi ha perso 2 volte. Due. Non è colpa di Sinner se abbiamo guardato la partita con una dose di convinzione nel fatto che lui sarebbe stato il terzo. Sono undici partite di fila che Nadal al Roland-Garros non perde nemmeno un set. Qui siamo al vero punto della giornata di ieri e al senso del discorso sulla delusione. Succede da un po’. Quando Sinner perde, scatta un telone protettivo. È una sorta di reazione del mondo tennistico di fronte all’assalto dei barbari. Un fastidio di fronte ai giudizi di massa. È una cosa sana per Sinner fino a quando non tende all’assoluzione a prescindere per insufficienza d’età. Il portiere Gianluigi Donnarumma ha due anni più di Sinner e ormai da quattro campionati quando sbaglia, sbaglia. L’avvocatura di corporazione per Sinner non lo aiuta fino in fondo. Non lo allena alle conseguenze delle delusioni che è destinato a regalarci nei prossimi anni. La delusione è per definizione un disagio provocato da un risultato contrario a speranze e previsioni. Se sul suo conto le speranze e le previsioni sono presentate come altissime, quelle che verranno da Sinner in mezzo a molte vittorie, saranno per forza feroci. Ma le delusioni sono a pieno titolo una porzione dello sport, non sono un motivo di vergogna. Anche i giudizi devono diventare dei compagni di viaggio abituali per chi fa sport agonistico, con la consapevolezza che sono punti di vista, non sono sentenze.
Vale la pena ripetere che la popolarità aumentata di Sinner e del tennis italiano rischia di produrre quello che può essere detto effetto Vezzali. Dicesi effetto Vezzali quell’atteggiamento tifoso e profano, a cadenza quadriennale, che porta a mettersi di fronte a una gara di scherma fissando la lucetta. Se si accende quella verde, esultiamo. Se si accende quella rosa, si stramaledice l’inferno. Senza molta profondità. La chiesa del tennis italiano è uscita dal culto di nicchia e ora si trova di fronte a questo scenario. O lo soffre oppure deve guidare un’educazione al cambiamento. In che modo? È giusto invocare misura di fronte alle sconfitte di due teenager contro il numero 1 e il numero 3 del mondo, 19 e 20 Slam a testa, solo che la misura non si può chiedere solo nelle sconfitte. Se il tennis italiano offre Sinner al dibattito pubblico come il numero 1 che sta arrivando, come il predestinato che infiniti lutti addurrà agli Achei, lo carica di attese e lo espone a delle aspettative, in uno sport – peraltro – dove Chang vinse Parigi a 17 anni e 110 giorni, Becker vinse Wimbledon a 17 anni e 228 giorni, Wilander vinse Parigi a 17 anni e 293 giorni, Borg a 10 anni e 10 giorni, Nadal a 19 anni e 3 giorni.
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Per esempio. Stamattina Massimo Gramellini sulla prima pagina del Corriere della Sera scrive che “Musetti è stato per due ore il ritratto di Federer da giovane. Un ragazzo italiano di diciannove anni che alla clava di Djokovic opponeva il suo pennello di seta per dipingere traiettorie di pura bellezza. Certi movimenti di rovescio sembravano benedizioni. Non si può giocare così bene a tennis alle due del pomeriggio di un giorno feriale: la grande arte meriterebbe sempre il pubblico della prima serata. Ancora un paio di sconfitte come questa e Musetti riuscirà a essere Federer per quattro ore”.
Ecco. Senza che nessuno ne esca turbato, tra due sconfitte Musetti non sarà Federer. È un ragazzo che ha giocato 29 partite in tutto da professionista. Ventinove contro millecinquecentosedici. Forse non sarà Federer nemmeno tra dieci sconfitte e probabilmente non lo sarà mai. Non per questo è un dono meno prezioso o meno gradito. L’idea che la vita di uno sportivo, perfino di un aspirante campione, sia degna solo se riuscirà a essere Federer è un’idea tossica.
Stefano Semeraro su la Stampa trova che “Lorenzo Musetti di personalità e di tennis ne ha in abbondanza, per due set ne ha dato ampia dimostrazione” sfoggiando “il retrogusto di stupore che senti solo a contatto con le annate giuste. Può capitare che al primo Slam in carriera, dopo una settimana vissuta a 10 kilowatt, le energie, fisiche e mentali ti abbandonino all’improvviso e anche il tennis vada in bomba”. Sinner invece gli è parso “un deludente bradisismo. È la terza sconfitta con Nadal, rispetto a quella di un anno fa qui a Parigi stavolta scatta l’insufficienza. Ci vuole tempo, certo, e pazienza – ma anche un po’ più di varietà, e di un servizio meno fragile”.
Paolo Rossi su Repubblica dice che “Le mille bolle blu del tennis italiano ci sono scoppiate addosso quando meno ce l’aspettavamo, quando avevamo cominciato a fare un pensierino proibito sulle possibilità di questi Moschettieri emergenti, giovani e forti in modo divino, con colpi che ricordavano il passato unendolo alla modernità del presente. E poi? Bum, il palloncino è improvvisamente scoppiato. Ma è stato bellissimo, perché il ragazzo di Carrara è sembrato a suo agio, come se il Tempio della terra rossa fosse casa sua. E Djokovic si è dovuto incattivire per venire a capo di una situazione che non aveva previsto”.
Piero Valesio sul Messaggero racconta a proposito di Musetti che “Il tennis ha visto la luce. Come John Belushi nei Blues Brothers. Per due ore, qualcosina in più: poi è sceso il buio. Ma ora sa di avere un futuro: quando quei tre toglieranno il disturbo, almeno uno che occuperà la casella dove, nel corso degli anni, hanno avuto casa tizi come Panatta, McEnroe e Federer c’è, è vivo e lotta insieme a noi. Jannik crescerà, c’è da esserne certi. Gode di grande credito presso i colleghi: ne sia la prova la concentrazione degna di miglior causa che Nadal ha messo in campo per soffocare ogni sua velleità. Ma non sarà un processo facile o indolore. Del resto ogni crescita è dolorosa. La domanda resta la stessa: quando arriverà il momento in cui potremo festeggiare l’avvento di un re vestito di azzurro? La speranze, dopo la giornata di ieri, si sono affievolite? Parafrasiamo Il Gladiatore: quel giorno arriverà. Ma non ancora”.
Marco Imarisio sul Corriere della Sera considera che “Alla fine di molti sogni c’è un mostro. Certe volte, anche due. Era una utopia, ma ci abbiamo creduto. Alzi la mano chi non ci ha sperato, quando la nostra meglio gioventù si è trovata avanti di due set contro Novak Djokovic e ha servito per strappare il primo parziale a Rafa Nadal. Ma quelli trovano sempre un modo per ucciderti. Eppure, anche questa giornata di illusioni dimostra che non dureranno in eterno. Anche loro dovranno prima o poi fare i conti con madre natura. I ragazzi italiani ci riproveranno presto, con più esperienza e maggiore convinzione”.
Ma certo che ci riproveranno, e forse perderanno ancora, e sarà di nuovo sano fargli notare dove hanno sbagliato, dove devono lavorare per crescere, senza lo scudo dell’assoluzione e il rifugio nello slogan che vanno attesi con pazienza perché sono giovani. Federer Nadal e Djokovic sono tre campioni epocali. Forse i tre più grandi di sempre. Può esserci emozione e bellezza nel percorso di un Sinner e di un Musetti anche senza che diventino i prossimi Mostri, per dirla alla Équipe. Il tennis è lo sport delle seconde opportunità come nessun altro. Sbagli un quindici, ti togli la terra rossa dalle suole con una racchettate sulle scarpe e la vita continua. Il più delle volte anche senza di noi.
E comunque – zitto zitto – ai quarti di finale c’è Matteo Berrettini, il più in alto di tutti in classifica, semifinalista a US Open, una partecipazione al Masters. La réclame di chi predestinato non è, poi si spoglia, va in campo e lavora. Adesso Djokovic tocca a lui.
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